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19 Giu 2020

Redazione Notizie in Rete

Intervista a Nicolò Bottaro, portavoce di Rete Studentesca

Tra esami di maturità in un contesto surreale e inquietanti ipotesi di separatori in plexiglass, la scuola sembra sempre l’elemento dimenticato e trascurato del nostro sistema paese. Abbiamo intervistato Nicolò Bottaro, portavoce di Rete Studentesca, movimento giovanile della Rete.

Che cos’è Rete studentesca?

Rete Studentesca è il movimento giovanile de La Rete. Un movimento nuovo che si impegni per la risoluzione della situazione drammatica che affligge le nostre scuole e le nostre università.
Nata il 3 giugno 2020, Rete Studentesca ha costituito sin da subito una struttura agile e orientata all’azione contro il politicamente corretto e il mainstream.
Rete Studentesca, inoltre, lavora a pieno ritmo sul concetto di innovazione, ossia cerca di sviluppare il suo lavoro distaccandosi dalle metodologia vecchie e logore che per anni hanno faticato a trovare sbocchi e soluzioni, proiettandosi invece nella lotta pura e vicina ad ogni “mente giovane” della nostra Nazione. Nasciamo dalla desolazione di un panorama politico ampio quanto uguale nel suo disinteresse verso i giovani italiani. Ci opponiamo ad ogni logica moderna che allontana sempre più l’uomo dalla riuscita della sua esistenza, affinché ogni esempio negativo sia smascherato.

Cosa chiedono i militanti di Rete Studentesca?

Di fronte alla stanchezza generale siamo partiti da un motto: “Acta est Fabula”. Tradotto dal latino, “La commedia è finita”. Lavoriamo per l’estinzione di pigrizia ed ignavia al suono della campana della rivolta. Metaforicamente, non prendere posizione al momento opportuno significa finire nell’oblio della storia. È compito nostro disintossicare l’individuo dalla pigrizia mentale del mondo moderno.
Più concretamente, vogliamo la fine della speculazione e dello sfruttamento di noi studenti e degli ambienti e strutture scolastiche in cui si dovrebbero insegnare i sani principi etici e morali della Società. I ragazzi non sono né carne da macello per le case editrici, né possono essere le prime vittime del lockdown e del distanziamento sociale.
Vogliamo una scuola che punti all’eliminazione della mediocrità e dell’impreparazione nel lavoro, investendo sugli istituti tecnici e professionali per formare dei ragazzi pronti per lavori manuali ma di alta specializzazione, senza dover per forza ingolfare facoltà universitarie sempre più piene di studenti parcheggiati in attesa di un lavoro che non arriverà mai.

Quali misure ritenete necessarie per la rinascita scolastica?

In un sistema scolastico ormai distrutto andrebbe riformato tutto o quasi. Partendo dai professori, riteniamo opportuna una maggior selezione all’interno dei concorsi di accesso alla professione di insegnante. Non ha senso questa guerra tra studenti ed insegnanti, la qualità dell’insegnamento dipende esclusivamente da chi lavora all’interno dei nostri istituti. A ciò si collega la questione del misero stipendio che per anni ha visto le nostre piazze popolarsi di scioperi e proteste da parte del corpo insegnanti, che ha solo portato a ulteriori gravi inefficienze. L’istituzione di adeguati incentivi meritocratici per gli insegnanti può essere un giusto avvio verso una dinamica positiva.
Un’altro punto su cui ci siamo soffermati è il potenziamento degli Istituti tecnici e professionali, luoghi lasciati cadere nel degrado nazionale e considerati quasi un raduno obbligato per “chi non ha voglia di studiare”. Vanno invece considerati come istituti d’eccellenza per dare accesso diretto alle professioni, senza il passaggio obbligato dall’istruzione universitaria.
Soprattutto in tali indirizzi, ma in generale nelle scuole superiori, va trovato un equilibrio tra didattica tradizionale, fondata su lettura, scrittura e calcolo, e un maggior utilizzo del PC e dei dispositivi elettronici.
Variando d’indirizzo crediamo in una trasformazione del Liceo classico in una scuola d’eccellenza, con modalità di accesso e un percorso di studi rigidamente selettivo, che consenta la creazione di un corpo preparato sia per l’insegnamento che verso la conservazione culturale del paese con il maggiore patrimonio storico mondiale A ciò va aggiunto, ad esempio, il ripristino dell’insegnamento delle basi della lingua latina alle medie.
Indirizzandosi invece verso l’organizzazione universitaria, chiediamo uno schema parallelo d’accesso alle facoltà universitarie da tutti i percorsi scolastici, ma che sia maggiormente limitato alle facoltà coerenti con l’indirizzo della scuola. Inoltre, il numero chiuso deve essere generalizzato a tutte le facoltà e basato sulle esigenze nazionali. In un 2020 in cui la nostra Nazione ha dovuto affrontare un’importante pandemia le lauree sanitarie devono vedere un aumento immediato dei posti disponibili.

Nell’ultimo periodo, per cause note a tutti, l’universo scolastico si è bloccato ed è mutato. Avete criticato duramente anche questa settimana la modalità in cui si svolgono gli esami di maturità: come vi ponete in merito a ciò?

La frittata è fatta. L’esame quest’anno si è ormai svolto in una modalità più che rivedibile e senza un’organizzazione a priori. Abbiamo affrontato la questione considerando la prova 2020 come un funerale scolastico. La maturità, nata nel 1923 con la riforma Gentile, muore quest’anno, sotto la scure del ministro Lucia Azzolina; pertanto, noi ci rifiutiamo di ritenerla tale.
Una prova che ha impegnato, impaurito, unito gli animi di decine e decine di generazioni, quest’anno ha totalmente perso il suo senso profondo. Parliamo di un esame che è stato più volte cambiato negli scorsi mesi, lasciando nella confusione totale i maturandi. Un esame sbilanciato che in un ora conterrà il 40% della valutazione complessiva di 3 interi anni di studio. Questa situazione è stata, ed è in queste ore, una continua mancanza di rispetto nei confronti degli studenti, giustificata con la sola scusante di essere un “fondamentale rito di passaggio.”
Noi invece riusciamo solo a considerarla la morte dell’istituzione studentesca.
Proprio per questo la sera che precede l’esame di stato (16 giugno 2020) abbiamo effettuato un’affissione nazionale davanti alle scuole cittadine di diverse città, con un manifesto funebre intestato alla Maturità 2020, accompagnato da una rosa.
Auguro comunque ad ogni studente la migliore uscita dalle scuole superiori, ponendomi sempre qualche domanda su chi davvero in Italia abbia bisogno di una prova di maturità.

18 Giu 2020

Gianni Correggiari Notizie in Rete gianroberto casaleggio, maduro, movimento 5 stelle, venezuela

Mazzette a 5 stelle. Le vere domande da porsi

Nessuno è, allo stato, in grado di affermare con certezza se il M5S, e per esso il suo defunto fondatore Gianroberto Casaleggio, abbia davvero ricevuto una valigetta contenente 3,5 milioni di euro proveniente da fondi neri del governo venezuelano, come rivelato dal recente scoop del quotidiano spagnolo ABC.

Dove sarebbe, in ipotesi, lo scandalo? In un finanziamento che – certamente costitutivo di reato, sebbene già prescritto – dimostrerebbe, ove provato, che “la banda degli onesti” è uguale agli altri? O, piuttosto, nell’imbarazzo di un partito oggi al governo che ha ricevuto soldi da un regime sicuramente avverso a Washington?

Il primo interrogativo c’interessa poco. È puro tartufismo disconoscere le ragioni della politica e la necessità di finanziarne l’attività; e l’ipocrisia preferiamo lasciarla agli altri. Anche le inquietudini suscitate dal secondo interrogativo possono essere ridimensionate, ove si pensi che il fatto risalirebbe a dieci anni addietro, quando il M5S ancora galleggiava sui vaffa di Beppe Grillo e non era ancora investito di alcun obbligo di prudenza nei riguardi di Washington.

Quel che è certo, nell’obbiettiva incertezza della vicenda, sono invece le liaisons fra un certo settore dei pentastellati e il chavismo; nel 2015, in occasione della morte di Hugo Chavez, il M5S organizzò alla Camera un convegno, promosso da Di Battista, intitolato “L’alba di una nuova Europa”, dove “Alba” era chiaramente riferito all’organizzazione fondata da Castro e da Chavez agli inizi del 2000 e che comprendeva i Paesi latino-americani di tendenza socialista, di cui Cuba e Venezuela erano i più influenti rappresentanti; schieramento che, da allora, ha comunque subito notevoli regressioni, perdendo Brasile, Ecuador e Bolivia.

È poi storia recente la presa di posizione del governo italiano, in controtendenza con altre nazioni europee, sul non-riconoscimento di Juan Guaidò come presidente legittimo di palazzo Miraflores.

Altri interrogativi vanno dunque posti; e sono concreti, politici e attuali.

Il primo deve partire dalla considerazione della politica sudamericana, che si gioca su terreni molto pericolosi e opachi. Uno di questi è il narcotraffico che vede coinvolti esponenti di rilievo di molti governi e, tra questi, quello venezuelano;  se davvero quei soldi fossero transitati, una probabile origine sarebbe da ricercare lì: e questo farebbe davvero schifo. A ciò si aggiunga il controllo, ancora attuale, di Cuba nella politica venezuelana, visto che ne gestisce i servizi segreti e gli organi di sicurezza, succhiandone inoltre il petrolio; e, al netto dei poveri illusi, Cuba rimane una opprimente e squallida dittatura che ha ridotto alla fame il suo popolo.

Fino a che punto è quindi sostenibile, finanziamento o no, una simile posizione da parte dei 5s? Senza contare che, se davvero fosse provato quel versamento, la posizione di politica estera sostenuta dai 5s sfocerebbe in un caso di corruzione internazionale.

Non è questione di stare/non stare con Washington e di coonestarne/contrastarne la politica estera. Si tratta di altro. E qui sta il vero interrogativo che noi ci poniamo. Capire qual è il nostro interesse, anche alla luce dei milioni di Italiani che vivono in quelle regioni e che ci consta abbiano spesso acquisito posizioni di rilievo in quelle società, producendo e creando posti di lavoro e non vivendo di assistenzialismo. E dei quali dovremmo ricominciare ad occuparci, dopo averli per tanto tempo abbandonati, investendo in primo luogo in cultura, aprendo finestre – e sportelli bancari – in un continente alla cui crescita il lavoro e l’intelligenza italiana hanno contribuito in larghissima misura e che ha bisogno di infrastrutture e capacità produttiva, che noi possiamo contribuire a fornire.

Questa sarebbe seria politica estera sudamericana. Non i giochini pericolosi da rivoluzionaretti, che finiranno per sbattere il muso contro una realtà che, ben presto, sfuggirà loro di mano. Aspettare qualche mese per credere. 

17 Giu 2020

Filippo Deidda Notizie in Rete

In Francia è finita la libertà d’espressione. Tra poco anche in Italia?

In Francia è appena stata approvata dalla maggioranza macronista (ma anche col voto favorevole di 74 deputati di centrodestra), la Loi Avia, degna di un orwelliano Ministero della Verità e seguito digitale della ghigliottina giacobina.

Il provvedimento era in cantiere da mesi, ma la frenesia mondiale del Black Lives Matter non poteva che coronare perfettamente la proclamazione di un testo degno di un Robespierre all’apice del periodo del Terrore, per quanto aggiornato con gli ultimi ritrovati della Silicon Valley.La legge, per andare alla caccia del reato d’odio, importa in Europa i metodi di controllo su pc, smartphone etc… per il momento propri solo della Repubblica Popolare Cinese.

Nessuno luogo di privacy, nessun margine, qualunque fazzoletto di spazio digitale sarà setacciabile. All’inquisito si daranno 24 per operare un’autocensura di tipo maoista, tramite cancellazione del post, del tweet o di cos’altro di incriminato, passate le quali scatteranno le sanzioni penali.

Ovviamente resta fluido il concetto di “incoraggiamento all’odio”: sarà incoraggiamento all’odio verso gli omosessuali dire che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre? Sarà incoraggiamento all’odio verso gli stranieri dire che i cittadini hanno diritto ad una preferenza nazionale nell’assistenza sociale? Sarà incoraggiamento all’odio verso questa o quell’etnia dire che diversi popoli e diverse nazioni hanno raggiunto nella storia diversi gradi di civilizzazione?

Tutto è rimesso al grande censore: la vostra vita o la vostra morte sociale, in base al vostro grado di cattiveria o di bontà. Il nuovo totalitarismo avanza, il dissenso, in pieno stile 1984, non lo si vuole solo reprimere ma non si vuole neanche che sia pensabile.

Chi d’altra parte può pensare di difendere una tesi, se quella tesi l’hai chiamata odio?

16 Giu 2020

Redazione Notizie in Rete

FRANCESCO ERA PRIMAVERA, FRANCESCO ERA LIBERTÀ

“Francesco era Primavera

Francesco era Libertà

Adesso porti in mano una rosa

E nell’altra la verità”

(Imperium)

Sono passati ormai 40 anni dall’omicidio di Francesco Cecchin, un fatto di sangue che rimane una ferita ancora aperta per alcuni elementi che rendono questo omicidio un unicum rispetto ai tanti, troppi militanti di destra caduti sotto i colpi del terrorismo comunista negli anni ’70. Colpiscono in particolare la giovanissima età – 17 anni – della vittima che venne aggredita e il contesto dell’aggressione, avvenuta non durante uno scontro di piazza ma in un momento di normale vita familiare. Inoltre, la responsabilità dell’omicidio non può essere ascritta a frange marginali dell’estremismo di sinistra, facendo rientrare la vicenda nel comodo schema del conflitto tra gli “opposti estremismi”.

Tutte le evidenze processuali, suffragate dalla “controinformazione” fatta dagli amici di Francesco, fanno concentrare i sospetti su dei personaggi inquadrati nella rigida struttura militante del PCI, in quel momento reduce da un’esperienza di governo, offrendo così una spiegazione all’incredibile inerzia con cui furono condotte le indagini e al tentativo di molti centri di potere dell’epoca di negare la realtà dell’omicidio. Su questa storia è in stampa un libro intitolato “Una morte scomoda: Francesco Cecchin. Una storia emblematica degli anni „70” scritto dal giornalista Federico Gennaccari, che sarà presentato nel prossimo autunno. Ma in occasione del quarantesimo anniversario dell’omicidio è giusto ricordare queste vicende che devono appartenere alla memoria collettiva della nostra città e della nostra nazione, come è giusto diffondere quel semplice “Quaderno di controinformazione” che fu scritto dai militanti del Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile dell’MSI in cui militava Cecchin) e che si rivelò l’unico strumento utile, se non a punire i colpevoli, almeno a ristabilire la verità dei fatti. Fu infatti quell’opuscolo, tenacemente diffuso a tutti i livelli dai ventenni amici di Francesco, a costringere le autorità inquirenti a riavviare le indagini, fino a giungere ad un processo e ad una sentenza che, pur non condannando gli imputati, sancì la realtà dell’omicidio e denunciò esplicitamente l’inerzia dei responsabili di pubblica sicurezza del quartiere dove avvenne l’aggressione.

L’ANTEFATTO

Siamo nel maggio del 1979 e la tensione “di piazza” nel quartiere Trieste-Salario è molto alta. Questo quartiere all’epoca si presentava come un “avamposto” della presenza politica dell’MSI immerso in una zona, quella di Roma Est, tutta “occupata” dalla militanza territoriale dei gruppi politici di sinistra. Erano gli “anni di piombo”, in cui non solo stava esplodendo lo scontro tra istituzioni e bande terroristiche, ma tutti i quartieri delle grandi città erano presidiati da gruppi militanti pronti allo scontro fisico pur di impedire agli avversari di fare politica. Era la fine degli anni ’70, quando la propaganda di odio dell’”antifascismo militante” era al suo culmine e solo attaccare un manifesto o tenere aperta una sezione del MSI era considerata un’intollerabile provocazione dai gruppi di sinistra comunque connotati. La caratteristica specifica del Trieste-Salario, a differenza di altre zone di Roma, era che le declinazioni violente di quella propaganda non erano delegate a gruppi extraparlamentari o comunque estremisti, ma erano assunte in prima persona dalle forti ed aggressive sezioni del PCI, tra cui emergeva quella di Via Tigrè guidata dal noto e maturo capo politico e sindacale Sante Moretti. Probabilmente questo atteggiamento era anche una conseguenza della dialettica interna al mondo comunista, che cominciava sempre più a dividersi tra massimalisti di sinistra da un lato e favorevoli alla linea politica del “compromesso storico” dall’altro lato. Non è un caso che Sante Moretti dopo la nascita del PDS diviene uno dei principali animatori a Roma di Rifondazione comunista. In quel periodo manifestare intransigenza ideologica significava anche assumere atteggiamenti duri e aggressivi nella vita politica quotidiana e basta consultare il sito www.santemoretti.it per constatare quanta intransigenza caratterizzava il credo politico di Sante Moretti. Nei primi giorni di maggio, mentre nel quartiere era in preparazione una importante Festa dell’Unità (24-27 maggio 1979), venne compiuto un attentato incendiario contro la sede del MSI e del FdG del Trieste-Salario in viale Somalia 5, seguito, nei giorni successivi, da numerose azioni di disturbo e minacce contro la normale attività politica dei ragazzi del FdG. In tutti questi episodi viene notata la presenza di un’automobile Fiat 850 bianca (di cui i militanti di destra rilevano la targa) che risulterà poi fondamentale nel seguito della vicenda. La sera del 28 maggio, intorno alle ore 20, quattro ragazzi del FdG, tra cui Francesco Cecchin, si recano in piazza Vescovio per affiggere manifesti, ma vengono subito notati e fatti oggetto di provocazioni da un gruppo di militanti, capeggiati da Sante Moretti, della poco distante sezione PCI di via Monterotondo. Moretti, dopo aver allontanato in modo spiccio un agente di polizia in borghese chiamato a intervenire, si rivolge ai ragazzi del Fronte con affermazioni del tono: “…vi abbiamo fatto chiudere via Migiurtinia (una sezione del FdG fatta oggetto di numerosi atti di violenza), vi faremo chiudere anche viale Somalia…” e alla fine, volgendosi proprio verso Francesco Cecchin, lo apostrofa così: “tu stai attento, che se poi mi incazzo ti potresti fare male!”.

L’AGGUATO

Quella del 28 maggio si preannuncia subito come una “notte calda” dal punto di vista attivistico. Un gruppo di militanti viene notato fino a ora tarda davanti alla sezione del PCI di Via Monterotondo, a bordo della già citata Fiat 850 bianca e di una Benelli Motobi, che compie numerosi giri di perlustrazione in quartiere.

Intorno alla mezzanotte, Francesco Cecchin scende di casa insieme alla sorella per una passeggiata fino a via Montebuono, dove un suo amico lavora in un ristorante; verso le  00:15, mentre i due ragazzi sono fermi davanti ad un’edicola di piazza Vescovio, spunta la Fiat 850 bianca già precedentemente notata, che compie una brusca frenata davanti a loro. Dall’auto scende un uomo che urla all’indirizzo di Francesco: “… E’ lui, è lui, prendetelo!”. Intuendo il pericolo e probabilmente riconoscendo gli aggressori, Francesco fa allontanare la sorella e corre in direzione di via Montebuono, inseguito dagli occupanti della macchina, che nel frattempo il suo guidatore sposta fino all’imboccatura della stessa via Montebuono. La sorella, intanto, si getta vanamente al loro inseguimento, urlando: “Francesco, Francesco!”. Le sue grida vengono udite da un giovane (Marco Majetta che testimonierà al processo) che, sceso in strada, nota un uomo darsi alla fuga verso via Monterotondo (una traversa di Via Montebuono dove si trovava la Sezione del PCI) e qui salire sulla Fiat 850 bianca che si allontana velocemente. Dopo aver telefonato alla Polizia, Majetta viene raggiunto da un inquilino dello stabile di via Montebuono 5 che lo informa della presenza, sul suo terrazzo sottostante di cinque metri il piano stradale, di un ragazzo che giace esanime al suolo; il giovane, giunto sul posto, riconosce in quel ragazzo il suo amico Francesco Cecchin. Il corpo è in posizione supina ad una distanza di circa un metro e mezzo dalla base del muro; perde sangue da una tempia e dal naso e stringe ancora nella mano sinistra un mazzo di chiavi, di cui una che spunta dalle dita è storta, e in quella destra un pacchetto di sigarette. Il ragazzo viene ricoverato all’Ospedale San Giovanni, dove le sue condizioni appaiono subito disperate e dove rimarrà ricoverato in coma fino alla morte avvenuta nella notte tra il 15 e il 16 giugno.

GIUSTIZIA NON È FATTA

A questo punto, mentre sarebbe stato lecito attendersi immediate e approfondite indagini da parte delle Forze dell’Ordine, si assiste invece ad una sorta di gara a costruire una verità di comodo tale da negare o ridimensionare la gravità dell’accaduto. La versione dei fatti che viene riportata dalla stampa locale del 29 maggio è la seguente: “Francesco Cecchin (…) per sottrarsi all’aggressione di alcuni sconosciuti (….) ha scavalcato un muretto credendo si trattasse di un salto di poco conto…” (Il Tempo del 29/5/1979). Come fanno i quotidiani ad essere così sicuri di questa versione dei fatti? Lo scoprono quella mattina i militanti del FdG quando vanno a parlare con il Dott. Domenico Scalì, responsabile del Commissariato di Zona. Il funzionario di P.S. si dimostra convinto che Francesco si sarebbe buttato volontariamente oltre il muretto ingannato dal buio, giungendo a dubitare che vi sia stata colluttazione tra lui e dei presunti aggressori. In base a questa convinzione pregiudiziale nessun impulso viene dato alle indagini, derubricate da un tentato omicidio a una ipotetica rissa degenerata per un incidente. Insoddisfatti da questa versione di comodo, i militanti del Fronte della Gioventù, insieme ad alcuni amici di Francesco, cominciano a fare indagini per conto proprio, i cui risultati furono subito raccolti in un documento intitolato “Quaderno di controinformazione: Dossier F. Cecchin”, che già il 30 maggio fu consegnato a “Il Tempo” e immediatamente diffuso da “Radio Alternativa”, l’emittente libera diretta in quegli anni da Teodoro Buontempo.

Attraverso questo lavoro di raccolta d’informazioni emergono delle verità che nessuno potrà più negare: innanzitutto che Francesco conosceva molto bene quel palazzo e il cortile in cui era stato fatto precipitare, in quanto ci abitava un suo amico; inoltre risulta strano che il corpo sia stato trovato in posizione supina, anziché riversa, tipica di chi si lancia, e senza fratture agli arti, inevitabili quando si effettua un salto volontario da una simile altezza. L’ipotesi che Francesco sia stato gettato di peso viene inoltre avvalorata da altri due particolari: il trauma cranico, sintomo che il peso dell’impatto al suolo si è scaricato tutto sulla testa, e il fatto che questa si trovi più vicina al muro rispetto ai piedi. La chiave piegata tra le dita di una mano e il pacchetto di sigarette nell’altra sono una prova ulteriore che gli aggressori hanno gettato il corpo di Francesco, già esanime, al di là del muretto che delimita il terrazzo: chi tenta di scavalcare un ostacolo istintivamente non può non liberarsi le mani. Che prima di questo tragico epilogo ci sia stata una colluttazione è dimostrato dalla chiave piegata rinvenuta tra le dita di Francesco, sicuramente usata come arma di difesa contro i suoi assassini. Anche le ferite riscontrate su tutto il corpo durante l’autopsia, confermano la tesi dell’aggressione, essendo queste di natura traumatica e riconducibili a colpi ben assestati da picchiatori esperti. A rendere inconfutabili queste tesi altri due importanti elementi: le tracce di sangue riscontrate sul pavimento del cortile lunghe alcuni metri fino al bordo del muretto e la dichiarazione resa da alcuni testimoni (tra cui il già citato Marco Majetta) che affermano di aver udito le grida e le invocazioni di aiuto di Francesco, seguite da alcuni secondi di silenzio e infine da un forte tonfo non accompagnato da alcun grido. Risulta impossibile credere che una persona possa gettarsi coscientemente giù da un muro e precipitare per cinque metri senza emettere nessun grido. Quando Francesco precipita da quel balcone non può non essere già privo di sensi e quindi deve essere stato gettato da qualcuno in preda ad una furia omicida. Il 16 giugno, dopo 19 giorni di coma, Francesco muore. Le indagini infine partono tardi e male. Stefano Marozza, militante del PCI e proprietario della famigerata 850 bianca, fu arrestato il 1° luglio 1979 con l’accusa di concorso in omicidio. Disse di essere andato a vedere un film al cinema ma gli inquirenti verificarono che, quella sera, il cinema indicato da Marozza era chiuso per turno di riposo. Ciononostante, mentre le indagini proseguivano a rilento senza cercare nuove prove e riscontri sui possibili complici di Marozza, questi riuscì a fornire un nuovo alibi confermato dal suo ambiente politico e militante. Con un referto del 21 novembre 1979 i periti esclusero che le ferite ritrovate sul corpo di Cecchin potessero provare con certezza che il ragazzo fosse stato picchiato prima di precipitare. Sulla serietà della perizia la stessa Corte d’Assise manifestò grandi perplessità: «Veramente grave e singolare appare pertanto che i periti non abbiano approfondito l’indagine, non si siano recati sul terrazzo dell’abitazione degli Ottaviani, ma semplicemente si siano limitati a dare un’occhiata dall’alto del ballatoio; e abbiano dato una “scorsa” altrettanto superficiale ai rilievi effettuati dalla polizia scientifica, come dichiarato dal professor Umani Ronchi all’udienza del 20 dicembre 1980. Altrettanto singolare che non abbiano tenuto in alcun conto i referti dell’ospedale San Giovanni.»

La sentenza del 23 gennaio 1981 assolse Stefano Marozza per non aver commesso il fatto, ma nelle motivazioni la Corte d’Assise sostenne che Francesco Cecchin fu aggredito e scaraventato giù dal muretto (forse già svenuto) con la chiara intenzione di ucciderlo: «È convinzione della Corte che, nel caso di specie, non si sia trattato di omicidio preterintenzionale, ma di vero e proprio omicidio volontario.» Il processo assolse l’unico imputato precisando che le responsabilità non potevano essere accertate a causa di una serie di gravi negligenze nelle indagini ed ipotizzando, senza peraltro darne poi seguito, eventuali responsabilità degli inquirenti: «Appare incomprensibile la mancanza di ogni attività investigativa nell’ambito degli appartenenti alla fazione politica opposta a quella della vittima… La mancanza di prove in ordine al crimine commesso è con tutta probabilità da connettere a una estrema lacunosità delle indagini sotto i profili qualitativo, quantitativo e temporale.»

Eppure la tendenza a negare o ridimensionare quanto accaduto non ha mai abbandonato la sinistra romana. Quando il 16 giugno 2011 il Comune di Roma, durante l’amministrazione di centro-destra, ha intitolato a Francesco Cecchin il giardino pubblico al centro di Piazza Vescovio, una lettera di intellettuali di sinistra stigmatizzò l’iniziativa come una scelta di parte. Ugualmente, quando il 12 febbraio 2013 sempre a Piazza Vescovio fu inaugurato un monumento in ricordo di Francesco, insorsero l’Anpi e il Partito Democratico, forse dimentichi dell’analogo monumento e della piazza che le amministrazioni di sinistra avevano già dedicato a Walter Rossi.

(Articolo tratto da “40 anni senza giustizia per Francesco Cecchin”, 2019)

14 Giu 2020

Redazione Notizie in Rete

INTERVISTA A FRANK DOTRO, RESPONSABILE DELLA SEZIONE AMERICANA DELLA RETE

Non è sempre facile interpretare gli avvenimenti interni americani, distorti dai media e ultimamente in frenetica accelerazione. Per capirli meglio interpelliamo Frank Dotro, italo-americano e responsabile della Rete negli USA.

Nell’affrontare le questioni di come gli argomenti vengono visti dal popolo americano, dobbiamo prima di tutto capire quanto questo sia diventato veramente diviso. Non è più come negli anni scorsi, quando la gente agiva e pensava all’unisono. Sì, c’erano già differenze ideologiche tra i partiti, tuttavia, erano minime e per lo più rappresentavano le due facce della stessa medaglia. Certo, potresti dire lo stesso ancora oggi dei partiti che fingono di litigare, ma poi sono per lo più pedine dei mondialisti. Tuttavia, adesso è il popolo stesso a percepire che esiste una grande spaccatura. Da una parte hai le sinistre e tutti i servi dei banchieri e dall’altra hai i nazionalisti ma anche tutti quelli che rimpiangono una America del passato che non tornerà più. Ci sono quindi due visioni opposte su ogni problema e a seconda di chi ti risponde avrai una opinione completamente differente.  

La politica del presidente Trump sul Covid-19, sull’Organizzazione Mondiale della Sanità e sulla Cina è stata criticata con supponenza dai media “democratici” mainstream italiani. Puoi dirci come la vedono gli americani?

I sostenitori del Presidente Trump ritengono che abbia affrontato questi problemi correttamente. Ritengono che il Presidente Trump abbia agito, o che voleva agire, prima che il problema si verificasse. Solo una informazione distorta può metterlo in dubbio, dal momento che Trump voleva fermare gli arrivi dalla Cina già a gennaio, e per questo al tempo è stato accusato di essere razzista e xenofobo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è vista dai nazionalisti e dai seguaci di Trump come nulla più di un gruppo politico, con una propria agenda politica. Non diamo alcun credito a qualunque cosa questa possa dichiarare. Per quanto riguarda la Cina e la politica cinese di Trump, i nazionalisti la aspettavano da molto tempo. Donald Trump ha dichiarato per tutta la sua campagna elettorale che questo sarebbe stato uno dei principali problemi da affrontare. Il commercio a senso unico e gli accordi sottobanco con la Cina fanno male non solo all’America, ma all’intero mondo occidentale. Perdiamo posti di lavoro a milioni e non facciamo nulla solo perché politici come Joe Biden, tramite suo figlio, sono scesi a patti con la Cina. Naturalmente, nel campo opposto uno ti darebbe la risposta contraria. Le sinistre ritengono che in qualche modo il virus sia colpa di Trump e che lui abbia agito troppo tardi, anche se l’evidenza dei fatti dice il contrario. Non vogliono neppure che lo si chiami “virus cinese” perché sarebbe razzista.      

“Obamagate” e “Russiagate” sono affrontati in modo superficiale dai media italiani. L’opinione pubblica americana cosa ne pensa? Sarà possibile una forte censura per Obama e il Deep State democratico?

Indubbiamente, nelle menti dei nazionalisti appare chiaro che c’è stato un imbroglio da parte democratica contro il Presidente Trump. Ogni settimana emergono nuove prove che indicano come siano stati i democratici e non Trump a imbrogliare per vincere le elezioni. Recentemente, è emerso un coinvolgimento dello stesso Obama. Alla fin fine, però, ritengo che non ne uscirà nulla contro le sinistre. I media e i poteri forti sono naturalmente dalla loro parte. Per di più, nessun ex-Presidente è mai stato incriminato per un reato del genere e molti ritengono che sarebbe un precedente pericoloso.

Recentemente, con un tweet Trump ha definito gli Antifa come una organizzazione terroristica che dovrebbe essere trattata di conseguenza. Che ne pensi? Gli Antifa americani godono di protezioni e finanziamenti? E da parte di chi, in particolare? Cosa ne pensano i camerati americani?

Il movimento ANTIFA ha operato indisturbato per anni, ormai. Appare ovvio che ha le connessioni e i finanziamenti giusti. Il fatto stesso che sia passato sotto silenzio finora e che sia stato necessario così tanto tempo per denunciarlo costituisce una prova. Gli Antifa hanno aggredito fisicamente la gente per anni, ma hanno fatto notizia solo quando hanno incontrato una forte resistenza, durante la campagna elettorale di Trump. Quando le regole del gioco sono cambiate, coi nazionalisti che hanno cominciato a scendere in strada e a difendere il popolo dei pro-Trump, solo allora i media hanno cominciato a darne notizia e a parlare di ANTIFA. A dire il vero, al tempo cercavano di dire che la violenza veniva dai nazionalisti.

Per quanto riguarda contatti e finanziamenti possiamo dare per scontato che riguardano i soliti sospetti, i mondialisti, naturalmente. È risaputo che George Soros finanzia molti gruppi di sinistra, che a loro volta servono da copertura per altri gruppi di professionisti organizzati. La maggioranza dei loro membri sono giovani sinistrorsi della medio-alta borghesia bianca. I classici figli di papà. L’esempio emblematico è la figlia del sindaco di New York, Bill De Blasio, coinvolta nei disordini di New York. Il gruppo agisce godendo di un’impunità totale e non ha motivi di temere arresti o ripercussioni di sorta. Quando hai il Sistema che ti protegge, è facile fare i coraggiosi. 

Abbiamo sentito dei gravi disordini in corso negli USA. Abbiamo anche visto in un video alcuni italo-americani armati che difendevano il loro negozio da un branco di saccheggiatori. Cosa sta accadendo esattamente? E come sta reagendo la comunità italiana?

La storia della famiglia italiana che difende la propria panetteria ha fatto il giro dei social anche qui in America. Gli italiani in questione erano padre e figlio, che sono usciti armi in pugno dal loro negozio che stava per essere saccheggiato e devastato. Si sono meritati applausi scroscianti naturalmente. Questa è piuttosto una regola per noi italoamericani, siamo uno degli ultimi gruppi etnici che ha conservato la sua virilità e propensione a reagire quando ci sentiamo sotto attacco. Dobbiamo sottolineare però che si tratta di un incidente isolato. Le devastazioni non hanno interessato i quartieri italiani. Si sono concentrati nei centri delle città. I saccheggiatori sanno bene dove possono e dove non possono agire. Capiscono che andare in un quartiere a forte densità italiana di New York o del New Jersey equivale a cercare grossi problemi: non avrebbero da preoccuparsi della polizia, ma piuttosto dei negozianti e dei residenti del quartiere, che scenderebbero in strada ad affrontarli. Un caso emblematico è stato quando hanno proposto di andare a protestare a Howard Beach, New York. Dopo averci ragionato per trenta secondi hanno cambiato programma.      

Grazie Frank! È un piacere e un onore avere un camerata come te nei nostri ranghi a combattere la buona battaglia. Per noi è importante avere informazioni dirette dall’America, per capire le dinamiche politiche negli Stati Uniti senza le distorsioni operate dai media mainstream. In bocca al lupo per la tua sezione!

14 Giu 2020

Redazione Notizie in Rete

MAZZOLA E GIRALUCCI, NEL CUORE DEI PADOVANI

Erano circa le 10 del mattino del 17 giugno 1974 quando un commando di esponenti delle Brigate Rosse penetrò con la forza nella sede dell’MSI di Padova, sita in via Zabarella, allo scopo di prelevare alcuni documenti a valenza simbolica di violazione del territorio.

Il commando era composto da Roberto Ognibene, esecutore materiale dell’incursione, assieme a Fabrizio Pelli, colpevole di aver fatto fuoco per primo. 

Oltre a loro erano vi erano Susanna Ronconi con funzione di retroguardia, l’autista Giorgio Semeria e Martino Serafini, con funzioni di sentinella.

Penetrati all’interno del locali, i due terroristi vi trovarono Graziano Giralucci, militante dell’MSI quasi trentenne, e Giuseppe Mazzola, ex carabiniere in pensione che teneva la contabilità, entrambi casualmente presenti quella mattina nella sede del partito. 

I due terroristi estrassero due pistole, una P38 e una 7,65 con silenziatore, e tentarono di immobilizzare i due missini: Mazzola, non intimorito, afferrò la pistola di Ognibene e Giralucci cercò di immobilizzarlo afferrandolo al collo, forte del suo passato nel mondo del rugby. A questo punto Pelli intervenne sparando un colpo che raggiunse alla spalla Giralucci ed un secondo che colpì Mazzola trapassandogli la gamba destra e l’addome: i due missini, ormai inermi, furono freddamente uccisi ognuno con un colpo alla testa.

Il giorno successivo, con una telefonata alla redazione padovana de “il Gazzettino” e dei volantini fatti ritrovare in alcune cabine telefoniche di Padova e di Milano, le Brigate Rosse rivendicarono l’assassinio, pur chiarendo come si fosse trattato di un incidente di percorso non premeditato e sottolineando che la linea politica brigatista sarebbe stata di altro tenore.

Negli anni Ottanta, a seguito delle confessioni di diversi terroristi pentiti e nello scenario di un’indagine su più ampia scala, venne aperto il procedimento d’indagine nei confronti delle Brigate Rosse. Al procedimento non prenderà parte il Pelli, morto di leucemia mentre si trovava in carcere, nel 1979. Nel periodo che separò l’attentato dall’inizio dell’indagine, numerosi tentativi di depistaggio mediatico ed istituzionale tentarono di destabilizzare la chiarezza della dinamica. Si parlò di faide interne al Movimento Sociale, si cercò di indagare su presunte rivalità ed arrivismi, simpatie ed antipatie tra missini per costruire uno scenario credibile e riconducibile a quello di un colpo auto inferto.

L’11 maggio 1990 la Corte d’Assise di Padova dichiara tutti gli imputati colpevoli e ad Ognibene spetta la condanna più pesante: 18 anni. Oltre ai membri del commando, furono condannati anche i vertici delle BR, considerati mandanti dell’omicidio: Curcio, Franceschini e Moretti.t

Nell’agosto 1991 forse l’accadimento più disdicevole della vicenda: Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica in carica, propone di concedere la grazia a Curcio, motivando la scelta con l’attenuante della non materialità della sua condotta. A tale provvedimento, inevitabilmente, si opposero con forza le famiglie Giralucci e Mazzola che, per protesta, chiesero la loro sospensione dallo status di cittadinanza italiana. “Perché dobbiamo concedere una vita normale a chi non ha permesso che la nostra fosse tale? Hanno stroncato e segnato irreversibilmente troppe vite per avere il diritto di godersi la loro” scrisse Silvia, figlia di Giralucci, in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica.

Un anno più tardi, in appello di fronte alla Corte d’Assise di Venezia, fu disposta una nuova perizia balistica. La ricostruzione effettuata in base alla perizia giunse alla conclusione che si sarebbe potuto parlare di una vera e propria esecuzione: i due sarebbero stati giustiziati con freddezza tramite un colpo alla testa. Il 9 dicembre il tribunale confermò la tesi ed inasprì le pene di esecutori e mandanti.

Oggi, consapevole dell’excursus fortemente politicizzato della città e di fronte ai ripetuti tentativi di vilipendio della targa posizionata in loro memoria, Padova non può dimenticare Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, prime vittime delle Brigate Rosse, per sempre nel cuore dei padovani.

11 Giu 2020

Carlo Maria Persano Notizie in Rete

SISTEMA IN CRISI, CERCASI OPPOSIZIONE

Sta succedendo qualcosa di impensabile, mai accaduto dal dopo guerra ad oggi. Da una parte c’è un governo che commette errori e ingiustizie inenarrabili e dall’altra c’è un’opposizione che non ne approfitta, come se fosse stata colta impreparata da una massa impreventivabile di disastri umani e politici.

Gli errori sono stati talmente tanti da doverne eliminare alcuni nella descrizione per non perdersi. Non si parlerà quindi delle rivolte nelle carceri che tanti morti hanno causato. Non si parlerà della fuga notturna dalla stazione di Milano di persone potenzialmente infette verso il Sud Italia. Non si parlerà di un commissario straordinario che in 3 mesi non è riuscito a procurare delle mascherine. Non si parlerà della gestione penosa da parte del presidente dell’INPS delle varie erogazioni di sussidi, su cui ha accampato scuse ridicole tentando di giustificare l’incapacità con un attacco hacker.

I veri disastri verranno ridotti a 6 punti principali:

LA LIBERAZIONE DEI 400 BOSS

Il ministro della Giustizia Bonafede nomina al DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) un vecchio amico suo e del premier Conte. Il DAP si deve occupare del sovraffollamento delle carceri durante l’emergenza Covid e decide di liberare una serie di detenuti per creare spazio. Chiunque avrebbe immaginato che i detenuti da liberare sarebbero stati quelli meno pericolosi, spostando eventualmente quelli più pericolosi dove si era creato lo spazio, o, nei casi più gravi, dimettendo detenuti meno pericolosi dagli ospedali delle carceri e mettendo al loro posto quelli più pericolosi. Invece no, il DAP, con circolare emessa di sabato, libera 400 pericolosi boss della malavita. Il direttore del DAP dà le dimissioni in mezzo a roventi polemiche, ma nessuno presenta un esposto alla Procura per chiedere di indagare sulle dinamiche che hanno portato alla liberazione dei boss. Finisce tutto con la richiesta di dimissioni per il ministro Bonafede, ma nessuna denuncia viene presentata.

LA MANCATA ZONA ROSSA IN VAL SERIANA

Arriva il Covid e il governo, dopo aver dileggiato la Lombardia e il Veneto che chiedevano il blocco dei voli e la messa in quarantena per chi arrivava da zone pericolose (la Cina all’inizio), finalmente decide di intervenire e crea una zona rossa a Codogno. Contemporaneamente, arrivano segnali pesanti dall’ospedale di Alzano Lombardo, dove vengono commessi errori nella chiusura e poi riapertura del locale ospedale. Constatato l’errore, da più parti viene chiesta la creazione di una nuova zona rossa in Val Seriana. Il governo prima sembra accettare la richiesta e invia un battaglione di Carabinieri nell’area interessata; poi invece richiama indietro i carabinieri, perdendo 16 giorni preziosi nella diffusione del virus. Accortosi del suo errore, molto più grave dell’errore iniziale dell’ospedale di Alzano, il governo tenta di buttare le colpe sulla Lombardia, asserendo che poteva intervenire lei autonomamente, come da legge regionale. Peccato che, a fine gennaio, era stato dichiarato lo stato d’emergenza con il governo centrale che avocava a sé ogni decisione in merito (come per Codogno) e quindi era solo del governo la responsabilità per la mancata creazione delle altre zone rosse in Lombardia. E tanto constatano i PM di Bergamo che iniziano a indagare sulle migliaia di morti. Ci sarebbero tutti gli estremi per una denuncia per procurata epidemia, ma non viene presentata.

I REDDITI DI CITTADINANZA NON DEVONO LAVORARE IN AGRICOLTURA

Il primo dei tanti decreti emanati da Conte, il Decreto Cura Italia, parla dei 2,5 milioni di persone che percepiscono il Reddito di Cittadinanza e specifica come non siano obbligati ad accettare dei lavori durante il periodo dell’emergenza, ovvero fino a fine luglio. Poi il ministro dell’Agricoltura, Bellanova, dichiara che mancano almeno 200.000 lavoratori nelle aziende agricole e tutti pensano: “Bene, li prenderanno dai 2,5 milioni di Redditi di Cittadinanza”. Errore, perché il decreto gli permette di restare sul famoso divano. Allora la ministra, invece di chiedere la modifica del decreto, chiede la regolarizzazione di 550.000 stranieri clandestini per trovare la manodopera per i campi, e la maggioranza del Parlamento gliela concede. Nessuno dice niente per la circostanza che i Redditi di Cittadinanza non dovevano correre il rischio virus nei campi, mentre gli stranieri regolarizzati, sì. Da notare che 24.000 percettori di Redditi di Cittadinanza si erano offerti volontari per il lavoro nelle aziende agricole. Anche in questo caso, un bel reato di falso, condito con un’associazione a delinquere, per via dei vari ministri interessati, poteva essere oggetto almeno di indagine con un esposto in Procura.

ELKANN VUOLE 6,3 MILIARDI DI PRESTITO E 5,5 MILIARDI DI DIVIDENDI

Con l’emergenza, molti lavoratori finiscono in Cassa Integrazione e molte partite IVA rimangono senza remunerazione. Il governo non ha soldi per tutti, ma tratta per erogare un prestito di 6,3 miliardi al gruppo FCA, che ha sede in Olanda. Il governo emana un decreto dove, incredibilmente, assicura la garanzia sui prestiti anche a chi distribuirà dividendi ai soci e FCA dichiara che distribuirà 5,5 miliardi di dividendi, quasi tutta l’entità del prestito richiesto. Essendo superiore a 1,5 miliardi, il prestito deve essere approvato dal ministro dell’Economia, Gualtieri. Gualtieri fa capire che concederà il prestito e che sorveglierà come verranno spesi i soldi: ma come? Non si poteva invece correggere il decreto e impedire la distribuzione di dividendi? La Svizzera ha erogato immediatamente 50 miliardi alle sue imprese, col divieto di distribuire dividendi, perché l’Italia invece li lascia distribuire? Lasciare i lavoratori senza copertura retributiva per favorire le grandi aziende (ci sono anche 2 miliardi ai Benetton e 3 miliardi ad Alitalia), rappresenta un delitto contro quella Costituzione tanto amata da Gualtieri, almeno a suonate di chitarra.

LA FINTA DELLE BANCHE CHE NON PRESTANO I SOLDI ALLE PICCOLE AZIENDE

Conte continua a millantare centinaia di miliardi per aiutare le aziende in difficoltà con i pagamenti a causa dell’emergenza. In realtà, ha predisposto un protocollo per far in modo che le aziende in difficoltà, la maggioranza, non ricevano nessun prestito. Infatti la norma bancaria prevede il rischio di una denuncia penale per quei funzionari che prestino denaro a un’azienda in difficoltà, fino a configurare per loro il reato di bancarotta fraudolenta. La associazioni delle banche sono consce di questo rischio e della circostanza che Conte e Gualtieri vorrebbero addossare alle banche la colpa per i mancati prestiti. Hanno così richiesto, pubblicamente due volte, che il governo sospendesse la norma penale per il periodo dell’emergenza, con zero risposte da parte del governo. Il ridicolo è che a MPS e a Banca Etruria, realmente passibili, a suo tempo, del reato di bancarotta fraudolenta per circa 18 miliardi, non è successo niente, mentre oggi una miriade di piccoli esercenti non riesce a pagare le forniture di bar, ristoranti e negozi e rischia di chiudere. Quindi, da un lato il governo dice che garantirà per i prestiti, dall’altro lato affida la procedura alle banche senza sospendere la clausola sui prestiti ad aziende in difficoltà. Anche in questo caso una bella indagine per valutare il falso con estensione ai vari ministri, sarebbe importante.

UN ALTO MAGISTRATO INVITA ALTRI MAGISTRATI AD INCRIMINARE UN MINISTRO, PUR SAPENDOLO INNOCENTE

Un alto magistrato, Luca Palamara, in grado di indirizzare le carriere e intervenire sulle azioni disciplinari verso i colleghi, chiede a questi stessi di perseguitare il Ministro degli Interni con accuse pretestuose. Sembra un vero regalo all’opposizione, ma nessuno reagisce. Palamara, intercettato, conferma le intercettazioni e si scusa. Ma bastano le scuse di fronte a un reato di alto tradimento, considerato il giuramento dei magistrati?

È vero, probabilmente gli esposti e le denunce finirebbero davanti agli 84 procuratori nominati in tutta Italia grazie all’intervento di Palamara e il gesto dell’opposizione apparirebbe simbolico, perché potrebbero non esserci le condanne attese. Ma sarebbe un importante carico di grande forza simbolica nei confronti degli italiani, per infondere giustizia e coraggio.

In anni passati, anche solo la metà di questi scandali avrebbe fatto cascare governi o Repubbliche.

9 Giu 2020

Redazione Notizie in Rete

COSA SUCCEDE AI MOVIMENTI NAZIONALISTI ITALIANI? Intervista a Marzio Gozzoli, dirigente de: La Rete

Ciao Marzio. Comincio con una domanda polemica. Mi puoi dire se gli articoli di Berizzi e il servizio di Report hanno influenzato in qualche modo la nascita della Rete e quindi, in prospettiva, del futuro Blocco Nazionale?

Un servizio alquanto fantasioso e fazioso come quello di Report non ha avuto la minima importanza
in una decisione maturata nel corso del tempo. In quanto a Berizzi, diciamo che trovo divertente il suo modo di “analizzare” il mondo della Destra Radicale e i suoi articoli andrebbero forse letti con una colonna sonora adeguata: quella di certi film di Dario Argento, magari.

Che ruolo giocheranno gli “Otto Punti” e le associazioni satelliti nel nuovo movimento?
Satelliti come Solidarietà Nazionale, Evita Peron e Lega della Terra possono fare molto per smarcarsi dall’etichetta caricaturale del “fascio ignorante e cattivo”?

Gli “Otto Punti” sono alla base della formazione di un’intera generazione di militanti nazionalisti, in Italia e non solo non si possono dimenticare ma vanno rimarcati e sviluppati ulteriormente: è quello che stiamo facendo col Manifesto Politico. In quanto alle satelliti, parliamo di associazioni già rodate e organizzate, punti di forza e strumenti di radicamento sul territorio e nel popolo (persino nelle famiglie), nei rispettivi settori di competenza. Anche per gli “uffici” interni ci
avvaliamo della collaborazione di persone di buona esperienza, capaci di curare l’immagine di un movimento come nessun altro in Italia. (Il giudizio, risalente ad alcuni anni or sono, non è mio ma di avversari che ci studiano sistematicamente!). Naturalmente il tutto, per avere un valore effettivo, va coordinato e gestito secondo il principio “Ordine contro il Caos”. La struttura organizzativa, la metodologia operativa, l’immagine, devono essere all’insegna di uno Stile ben definito.

Ed eccoci quindi al motivo profondo della vostra scelta che vorremmo capire meglio: avete intenzione di continuare l’attività politica? In che modo?

Certo, è proprio per questo che abbiamo dato vita a questa Rete: per riprendere la battaglia. E non intendiamo limitarci a riproporre certi moduli ma vogliamo rilanciare il Movimento e allargare il suo raggio d’azione. Un primo obiettivo immediato – quello di tenere unite e operative dozzine di sezioni e in alcuni casi, intere regioni da Nord a Sud – è già stato raggiunto. Abbiamo elaborato un primo Manifesto Politico impostato in modo dinamico, vale a dire strutturato per essere
ulteriormente sviluppato e ampliato fino a dare a sua volta vita a una serie di documenti politici specifici. Abbiamo aperto un nuovo sito: https://www.la-rete.it/ Si è rapidamente ricostituita l’organizzazione interna con commissioni specifiche e uffici operativi, si sono riattivate le
associazioni satelliti e stiamo recuperando al Movimento tanti militanti che si erano allontanati, contrariati dal corso imposto negli ultimi tempi. Voglio chiarire, tuttavia, che non si tratta solo di ripercorrere strade già battute. Diciamo che c’è la volontà politica di portarci dietro tutti i pregi
delle precedenti esperienze, ma evitando i difetti.
La Rete ha già in programma una serie di iniziative e sta elaborando moduli di intervento nuovi, adatti alla fase di crisi sociale che si sta aprendo. La stessa Rete, del resto, non è fine a sé stessa ma
è concepita come passaggio verso un nuovo blocco nazionale allargato. In questo contesto stiamo parlando anche con diverse realtà politiche dell’Area. Non voglio anticipare nulla ma con alcune di queste in particolare il rapporto di cameratismo e collaborazione fa ben sperare per futuri sviluppi.

Prodi addirittura sta rivalutando l’IRI – dopo averla smembrata – voi come vi ponete nei confronti di un’eventuale industrializzazione di stato?

In linea di principio, riteniamo che tutti i settori strategici della produzione industriale e tecnologica, della grande ricerca, della emissione della moneta, della difesa, della sanità, debbano essere sotto stretto controllo statale. Purtroppo, l’attuale stato liberale ha tradito la sua funzione storica, ribaltando la sua azione: invece di difendere il popolo e la giustizia sociale da pressioni e minacce internazionali, lo stato è ormai succube dei poteri forti internazionali e repressivo verso il proprio popolo. Si distrugge la piccola e media impresa italiana per servire gli interessi di grandi potentati mondialisti. Si autorizza lo sterminio degli innocenti tramite l’aborto e si sostituiscono questi italiani mai nati con gli immigrati. Si assumono misure speciali emergenziali che impediscono agli italiani di uscire dalla propria regione o abitazione mentre le persone in stato di clandestinità vengono autorizzate a passare i nostri confini e scorrazzano liberamente per le nostre città … e si potrebbe continuare con tanti altri esempi.

Gli attuali governanti sembrano impantanati fra le necessità del Popolo e i vincoli europei senza trovare una via d’uscita. Voi come vi ponete nei confronti di Euro e Comunità Europea?

Siamo favorevoli a una Moneta Nazionale di Popolo, vale a dire, che sia per definizione di proprietà del popolo italiano, in modo che non possa generare debito che si autoalimenta a vantaggio dello strapotere bancario privato mondialista. In quanto a una Europa unita, si tratta di stabilire bene su quali fondamenta ideologiche la si vuole edificare. L’attuale Europa sta assumendo caratteristiche sovietiche nel controllo ossessivo e capillare, nella burocrazia asfissiante, nella volontà di eliminare le radici romane e cristiane e le identità culturali dei popoli. Un’Europa unita sul piano politico e militare, può essere auspicabile solo se concepita come difesa dei suoi popoli dalla globalizzazione e da modelli sociali estranei; un’Europa basata sulle sue vere radici storiche (filosofia greca, concezione giuridica romana, religione cristiana) e rispettosa delle identità culturali dei popoli che seppure imparentati, restano ben distinti tra loro. Si potrebbe dire che è proprio questa evidente differenziazione interna a costituire la vera ricchezza dell’Europa. Passando all’aspetto concreto e immediato, la nostra Rete sta prendendo contatto con movimenti fratelli di altre nazionalità, ed è già operativa la commissione esteri, che si appoggia anche su italiani residenti in altri paesi.

La differenza fra voi e gli attuali governanti mi sembra evidente. Quali invece le differenze salienti con il centro-destra di Salvini e Meloni?

Il problema del centro-destra in Italia (ma non solo) consiste nel suo essere immancabilmente moderato, vale a dire, nel suo non essere vera opposizione. Una opposizione reale alla sinistra è quella di chi vuole marciare in direzione opposta, appunto, mentre i moderati si limitano ad andare nella stessa direzione dei sovversivi ma a velocità ridotta per non far deragliare il processo di trasformazione del nostro popolo in massa amorfa e asservita ai poteri forti. Non è una novità, nella storia la sovversione ha spesso viaggiato a due velocità: giacobini e girondini, bolscevichi e menscevichi, stalinisti e anarchici. Così è ancora oggi. Prendiamo come esempio l’immigrazione: la sinistra vuole l’invasione di masse extracomunitarie inassimilabili fino a cancellare la nostra identità mentre il centro-destra si limita a invocare una immigrazione un po’ più controllata. La sinistra vuole i porti aperti all’invasione, il centro-destra dice (a parole) di volerli chiusi. La vera soluzione sarà solo invertire definitivamente la rotta attraverso una seria politica di rimpatri.

Una vera opposizione è solo quella totale e radicale che invoca la chiusura dei confini e l’inversione del processo con il ritorno degli extracomunitari nelle terre di origine e una parallela ripresa demografica degli italiani. Anche per questo motivo un movimento nazionalista moderno come quello che stiamo costruendo in questi giorni, sarà sempre necessario per il futuro del nostro popolo.

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